il peccato perfetto (Virgilio e Roberta)

scritto da red swan
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Roberta e Virgilio: un amore che scoppia sotto il sole, scalda il cuore — e si consuma prima che gli prometta un domani...
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Testo: il peccato perfetto (Virgilio e Roberta)
di red swan

Maggio 2024

Lavoravamo già nella stessa sede. Ci scrivevamo, ci cercavamo con lo sguardo, ci dicevamo cose che valevano più di mille parole.
La confidenza cresceva piano, come brace sotto la cenere.

Un giorno, ricordo che staccai alle 14.
Avevo un impegno di lavoro: dovevo incontrare alcuni colleghi del sindacato.
Mi cambiai nello spogliatoio dell’ufficio: gonna al ginocchio, camicia bianca, tacchi neri. Non più la divisa da portiera, ma una donna vera, elegante, sicura.

Quando uscii, lo vidi.
Era in terrazza a fumare il suo sigaro, di spalle.
Pensai: “Girati e guardami.”

E come se avesse sentito, si voltò.

Indossava il suo completo blu cobalto. Bellissimo.
E il suo sguardo, quando mi vide, mi trapassò.
Sembrò apprezzare la mia mise, rimase letteralmente a bocca aperta. La mascella gli cadde, e per un attimo smise persino di respirare.

Io lo salutai con la mano, ma lui non se ne accorse: era rapito.
Dentro di me ridevo: “Per tutte le volte che mi hai deliziato con il tuo bel fondoschiena, ora tocca a te. Goditi questo bel pezzo di femmina.”

Sapevo di essere una bella donna, in fondo.
Avevo un corpo formoso, un fisico a clessidra, lunghi capelli rossi e ricci, pelle bianca come la neve e labbra piene.
Non ero modesta: conoscevo bene l’effetto che facevo sugli uomini.

Ma lo avevo sempre evitato.
Non cercavo sguardi, non volevo attenzioni.
Non volevo problemi e sopratutto non ero capace a coprire i lividi con il trucco...

Danilo, quando si lasciava prendere dalla gelosia, diventava manesco.
E io avevo imparato a nascondermi, a ridurre la mia femminilità per non scatenare la sua rabbia.

Quella volta, però, no.
Quella volta uscii da quella porta con la consapevolezza di essere donna.
E di aver letto negli occhi di Virgilio un desiderio che non poteva più essere negato.


Poi, un giorno, la scintilla sembrò spegnersi.

Ricordo che stavamo scherzando su un particolare della toilette dell’ufficio e lui, all’improvviso, mi colpì con una stilettata in pieno petto.
Una battuta infelice:
«Ma che imbecille che sei…»

Ero davvero un’imbecille?
Forse lo disse per ridere, ma a me bruciò addosso come sale su una ferita.

Era quello il suo modo di corteggiare una donna?
Si stava svelando per ciò che era davvero? Aveva finto gentilezza solo per adescarmi?

Mille domande, mille dubbi.
E io mi sentivo stupida.
Mi chiusi nel silenzio, ignorai le sue scuse, lo evitai.
Volevo piangere, ma piansi solo sotto la doccia, per non farmi vedere da nessuno.

Passò una settimana.

Poi, senza troppo clamore, gli scrissi che lo perdonavo.
Non aveva senso portare avanti quella distanza: tanto, prima o poi, me lo sarei ritrovato davanti. Meglio chiudere civilmente.

Fu allora che arrivò il messaggio che non mi aspettavo:
«Vuoi che venga dove sei tu?»

Rimasi interdetta.
Un manager come lui che chiedeva il permesso a me?
Eppure, poche ore dopo, eccolo lì: giacchettino di pelle color havana, zainetto in spalla, sorriso furbo.

E dentro di me qualcosa cedette.

Non era ancora amore, forse.
Ma sapevo già di essere fregata.

Lo stesso giorno chiamò in portineria:
«Puoi portarmi su le chiavi dell’auditorium? Ho bisogno di vederlo per un workshop.»

Salii. Click della serratura, passo fermo.
Professionale in apparenza, ma dentro ero tutta un battito accelerato.

La sala vuota ci accolse come un segreto.
Lui dietro di me, abbastanza vicino da sentirne il profumo.
Mostrai la sala, dissi due frasi tecniche. Ma il pezzo vero era lui.

Non so chi si mosse per primo.
So solo che ci baciammo.

E fu come se il tempo si fermasse.
Il suo cuore contro il mio, le mie mani intrecciate alle sue.
Anni di silenzi e tensioni sospese esplosero in un istante.

Non avrei più avuto scampo.
Mi ero innamorata del dottor Virgilio Cignarelli.
Nel modo più scomodo, più pericoloso.
Eppure nel modo più vero.

Dopo l’auditorium, niente fu più lo stesso.

Iniziammo a vederci ogni settimana, sempre nello stesso giorno, come un rito.
Passeggiate per Roma, caffè condivisi, baci che duravano ore.
Non serviva altro: ogni sfiorarsi era già una resa.


Una mattina mi portò a visitare la Basilica di Santa Sabina all'Aventino.
Parlava con passione: mi raccontava ogni dettaglio dell’architettura, la navata, le colonne, i dipinti che illuminavano le pareti. Io lo ascoltavo rapita: non stava solo descrivendo pietre e affreschi, stava mostrando un pezzo di sé.

Poi, all’improvviso, mi baciò.
Era bellissimo, immerso nel fascio di luce che filtrava dalle alte vetrate della navata.
I suoi occhi verdi brillavano come non li avevo mai visti.
E con un sorriso disarmante sussurrò:
«Adesso sei mia moglie.»

Rimasi imbambolata.
In che senso?

Lui mi guardò negli occhi e aggiunse:
«Ti ho baciata davanti al mio Dio. Da questo momento sei mia, e Lui ne è testimone.»

Il cuore mi esplose nel petto.
Mi sentivo felice, scelta, consacrata.
Credevo a ogni sua parola.

E mi innamoravo sempre di più.


Un altro giorno mi portò nella Basilica di Sant’Agostino, nella cappella Cavalletti.
Lì mi mostrò la sua opera preferita: un dipinto del suo amato Caravaggio, La Madonna dei Pellegrini.

Lo ascoltavo rapita mentre mi raccontava ogni dettaglio: le pieghe degli abiti, i piedi sporchi dei pellegrini, la luce che illuminava la Vergine.
Parlava come se conoscesse quel quadro da sempre, come se fosse parte della sua anima.

Qualche volta si voltava verso di me e diceva che ero bella come la Madonna.
Quelle parole mi facevano arrossire e tremare.
Mi facevano sentire bellissima.
E amata.


Io lo guardavo, e mi chiedevo: le vere opere d’arte erano quelle scolpite nel marmo, dipinte su tela… o era lui, scolpito dalla vita?
Bello, colto, sensibile, affascinante... aveva qualche difetto? Dove era la fregatura?

Non avevamo ancora fatto l’amore, ma non ce n’era bisogno.
Bastava un bacio, e il mondo spariva.


Giugno 2024

Arrivò quel giorno di sole sul mare.

Con la scusa di una colazione guidammo fino alla costa. Il suo sorriso, la luce che lo accarezzava: mi facevano girare la testa.

Entrambi avevamo fame l’uno dell’altra.
Sentivo il cuore battermi nelle orecchie, un tamburo che misurava ogni passo, ogni parola.
Doveva essere mio, e io dovevo essere sua, adesso.

Lo pensai come si pensa a una verità improvvisa: chiara, urgente, senza appello.
La bellezza del mare, la brezza che ci accarezzava — tutto sembrava consacrare quel desiderio.
E il desiderio bruciava, semplice e feroce: Quando entrammo in quell’albergo, fu inevitabile.

Facemmo l'amore.

Lui mi guardò negli occhi mentre mi prendeva e disse: «Voglio il tuo cuore e la tua anima: tutto o niente». Quelle parole rimasero in loop nella mia testa. Io pensavo: amore mio, ti appartengo; non esisto più senza di te.

La sua pelle, il suo sapore, il suono del suo respiro — mi persi per sempre. Non fu solo passione o desiderio: fu riconoscersi, incastrarsi, respirarsi. Un atto insieme tradimento e verità. Tradimmo i nostri mondi, ma lì, in quella stanza, c’eravamo solo noi.

Da quel giorno, Danilo non mi sfiorò più. Io non glielo permisi. Il mio cuore e il mio corpo appartenevano a Virgilio.

Il destino, però, è beffardo. Il giorno dopo ci ritrovammo seduti nello stesso ristorante di borgo. Io con Danilo, lui con la moglie — perfino i nostri figli. Un caso? Doloroso.

Danilo non lo riconobbe in pantaloncini: era abituato a vederlo in completo. Io, invece, sentivo lo stomaco stringersi. Solo ventiquattr’ore prima eravamo stati l'uno dentro l’altra, in una camera vista mare. Ora eravamo due perfetti sconosciuti.

Sorrisi forzati, voci troppo allegre, una musica che strideva con il mio cuore spaccato.
Eppure, niente colpa — non verso Danilo, non verso lei.
Il vero tradimento non era l’albergo sul mare: era vivere in una vita in cui l’amore era già morto da tempo.

Lo guardai.
Lui mi restituì quel sorriso complice, lo stesso che ci univa ogni volta, come se non ci fosse nulla di sbagliato.
Come se fossimo due anime che finalmente si erano trovate.

Era tutto proibito.
Era tutto sbagliato.
Eppure incredibilmente giusto.

Capìi che non servivano scuse né morali. Restava solo la stanza d’albergo, due cuori che battevano forte e una verità che non voleva più tacere. Dopo quella prima volta, nulla fu più lo stesso.


Era lunedì, il rientro in ufficio dopo il weekend.
Fisicamente ero lì, dietro la mia postazione, badge al collo e divisa impeccabile. Ma dentro non ero più tornata. Qualcosa in me era cambiato per sempre.

Eravamo stati amanti e il giorno dopo lo vidi a tavola con la moglie: dalla gioia al dolore, sembrava di stare sulle montagne russe.

Lo vedevo passare con passo sicuro, il superiore al fianco, i colleghi dietro: io non vedevo nessuno, vedevo solo lui.

Ogni suo saluto, ironico e provocatorio, mi lasciava imbambolata: sorriso sulle labbra e occhi persi, come un’adolescente innamorata. Lo conoscevo: sapevo cosa c’era sotto quei vestiti impeccabili. Conoscevo il sapore della sua pelle, il disegno delle sue spalle, il ritmo del suo respiro. Ogni dettaglio di lui era il mio rifugio e la mia rovina.

Quando lo vedevo uscire dall'ufficio lo seguivo con lo sguardo: spalle larghe, schiena dritta, passo deciso. Immaginavo noi due di nuovo in una stanza d’albergo — una volta a settimana, una stanza qualsiasi, un universo tutto nostro.

Con lui avevo fatto l'amore in modi che non credevo possibili, di quelli troppo peccaminosi anche solo da pensare..
Avevo avuto altre storie, un ex marito, un compagno. Ma lui era altro: scoperta, vertigine, follia, complicità. Mi sentivo sciocca per quanto fossi innamorata, ma era vero: in quel momento avrei lasciato tutto per lui. E, in fondo, così è stato.

A volte lui dubitava di me. Si chiedeva quali esperienze avessi gia fatto, quanti uomini avessi avuto prima di lui... Io rimanevo con l'amaro in bocca, perché molte di quelle cose le avevo vissute solo con lui — non perché me le imponesse, ma perché con lui mi sentivo libera. Non volevo mezze verità o particolari omessi; soffrivo quando non mi credeva.

Temeva che mi fossi concessa a chissà quanti uomini, solo perché ero bella e disinibita.
Ma la verità era un’altra: perdevo la testa per il suo odore, per il suo sapore.
Ne ero rapita, quasi ipnotizzata.
Con lui non avevo limiti: cadevano ogni remora, ogni confine.

Si vedeva stanco, vecchio, segnato dal tempo. Eppure io lo guardavo e vedevo un’opera d’arte viva: il suo profilo era ipnotico, così bello da somigliare a un cigno maestoso — il mio cigno, il segno divino che Dio esiste. Era bellezza, desiderio, incanto.

Ogni messaggio che non arrivava era un colpo allo stomaco. Ogni notifica era speranza. Ogni parola scritta, ogni vocale rubato, ogni pausa pranzo condivisa: era casa.

Era un amore proibito, sì. Ma anche l’unico amore in cui mi fossi mai sentita davvero viva.


A casa i rapporti con il mio compagno erano diventati insostenibili.
Lui cercava di avvicinarsi, io lo respingevo con mille scuse: mal di testa, mal di pancia, stanchezza.

La verità era una sola: ero innamorata di Virgilio.

Il solo pensiero che un altro uomo mi sfiorasse mi sembrava un tradimento.
Per me la nostra storia era già iniziata, anche se nessuno lo sapeva.
Mi sentivo sua. Lo sentivo mio.

Speravo che anche lui facesse lo stesso.
Che, come me, non sfiorasse più sua moglie.
Che la nostra fosse una scelta silenziosa, ma reciproca.


Luglio 2024

Poi arrivarono le ferie.
Io partii per il Portogallo con mia madre.
Lasciai a casa mio figlio e il mio compagno… ma il cuore restò con Virgilio.

Quella settimana fu un vortice di messaggi, foto, telefonate.
Era come se fosse lì accanto a me.
Perfetta. Indimenticabile.

Sapevo che al ritorno qualcosa doveva cambiare.
Non potevo più vivere a metà.

Se avessi potuto disegnare l’uomo perfetto, avrei disegnato lui.


Agosto 2024

Ad agosto toccò a lui partire.
Un mese in Corsica, un mese lontano.
Il vuoto. La distanza. Le parole rubate. Le risposte tiepide. La paura.

Prima di separarci, ci promettemmo che a settembre sarebbe cambiato tutto: lui avrebbe divorziato, io avrei lasciato il mio compagno. Non sarebbe stato un salto nel vuoto, ma un progetto costruito piano piano — con il tempo ci saremmo trasferiti a vivere insieme. Il sogno era chiaro e immenso: svegliarci fianco a fianco, ogni mattina, fino alla fine dei nostri giorni.

Fu quella promessa a tenermi viva durante il mese più buio della mia vita.

Ma quando tornò, non era più lo stesso.

Cominciò a sollevare dubbi: parlava di differenze d’età, di ruoli, di interessi che ci avrebbero separato. Ripeteva che non voleva divorziare, che non era pronto, che non sarebbe mai venuto a vivere con me.
Aveva timore che ciò che provavo fosse effimero, un fuoco di paglia destinato a spegnersi; temeva che, col passare degli anni, lo avrei abbandonato per un uomo più giovane.

Il nostro sogno diventò la mia illusione. E io, piano piano, morivo dentro.


Ottobre 2024

Ad ottobre, io il mio compagno l’avevo davvero lasciato.
Avevo preso casa da sola con mio figlio.
Credevo che lui sarebbe arrivato.

Invece Virgilio cominciò a distruggere.
«Ti sei fatta un film che non esiste», mi disse.
E io crollai.

Mi sentivo una ragazzina illusa.
Una portinaia innamorata di un uomo stanco del suo matrimonio.
Ero stata il suo svago, non il suo futuro.

Ho sempre pensato che, quando partì per le vacanze, Virgilio sia caduto in mare e sia morto.
Al suo posto tornò un estraneo: stesso corpo, ma senza più l’anima.


Prima di partire mi scriveva: «Sei la mia vita», «Immagino noi due, tuo figlio, le mie figlie, una famiglia».
Promesse sussurrate nel buio.

Dopo, tornò il silenzio.
Un muro.

E io avevo già pagato il prezzo più alto:
dieci anni buttati, il dolore negli occhi di mio figlio, la delusione dei miei genitori.
Mi aspettavo almeno un abbraccio.
Invece trovai solo assenza.

Lui si nascondeva dietro scuse: le figlie, la moglie, la reputazione.
Non aveva il coraggio di scegliere.
Io non ero “all’altezza”: non la moglie rispettabile, solo un diversivo.


Eppure tornava.
E io lo riaccoglievo, ogni volta.

Ogni incontro era un loop: facciamo l’amore, io mi illudo, lui si ritrae.
Un amore fatto di brandelli, rubato tra riunioni e bugie.

Mi bastava un messaggio, un incontro fugace, una carezza rubata.
Per un po’, bastò davvero.

Ma non era amore.
Era sopravvivenza.


Lui aveva voluto il mio cuore e la mia anima.
E ora li calpestava senza pietà.

Io volevo una vita.
Una casa.
Una tavola apparecchiata.
Una mano che stringesse la mia nei momenti difficili.

Lui voleva solo una parentesi.

Io cercavo una famiglia.
Lui cercava un gioco.


E così, alla fine, mi ritrovai sola.
Con l’anima svuotata.
E il cuore pieno di parole che non sono mai diventate fatti.

il peccato perfetto (Virgilio e Roberta) testo di red swan
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